I PERFIN SONO DA BUTTARE?

 

 Tutti sanno che i francobolli perforati da aziende e banche con lo scopo principale di contrastare furti e usi illeciti, sono stati considerati per decenni privi di valore filatelico e spesso cestinati.

Tale pregiudizio ha determinato la distruzione della maggior parte di questo materiale che ormai conosciamo col titolo importato di perfin (perforated initials - iniziali perforate - e non perforated in - perforato internamente - come qualcuno ancora crede).

Contro tale infondata e superficiale scomunica, si sono levate voci di appassionati filatelici, prime fra tutte quelle di Enrico Angellieri e Franco Filanci.

Già nel lontano aprile 1979, dalle pagine di “Cronaca Filatelica”, questi autorevoli studiosi reclamavano dignità filatelica per i perforati, con un polemico articolo dal titolo “Dagli al perfin!”.

Allora l’argomento era pressoché sconosciuto e l’articolo conteneva qualche comprensibile inesattezza, tuttavia la sostanza dello scritto era e rimane pienamente valida.

Gli autori si chiedevano perché Francalettere e simili siano considerati rarità filateliche da tutti i cataloghi, mentre gli altri perfin sarebbero da buttare, quando tutti perfin esistenti hanno una comune genesi ed un’identica legittimazione.

Infatti, come ormai sanno anche i lettori più disattenti, tutti i perfin sono nati per iniziativa privata, siano essi quelli del Credito Italiano o della ditta La Francalettere.

Le prime ditte ad utilizzare perfin tra il 1882 e il 1889 hanno dovuto chiedere un’autorizzazione alle Poste, perché mancava una norma generale che consentisse l’uso di perforati. La norma è stata poi inserita nel nuovo Regolamento sul Servizio Postale emanato con R.D. 6152 del 20.6.1889 ed è rimasta pressoché invariata fino ad oggi, sempre richiamata dai decreti che da allora si sono succeduti sull’argomento.

Pertanto ogni utente postale è stato sempre libero di perforare come credeva i propri francobolli, col solo vincolo di non superare con la perforazione un terzo della superficie dei francobolli stessi.

Non esistono perforazioni ufficiali o semiufficiali, ma soltanto perforazioni private, ed i Francalettere, le Cartoline di pubblicità ecc. non fanno eccezione.

Ciò premesso, occorre rilevare che il fenomeno ha avuto una portata vastissima e molte aziende e banche hanno continuato ad utilizzare francobolli perforati per decenni, fino a quando l’introduzione delle macchine affrancatrici anche per i piccoli volumi di corrispondenza, ha messo a riposo i perforatori.

Sarebbe assai curioso che la storia postale ignorasse un fenomeno di tale importanza, che ha abbracciato oltre un secolo di vita e di trasformazioni del nostro paese e del suo servizio postale quasi senza interruzioni.

Qualcuno potrà chiedersi quale valenza filatelica possa avere un francobollo perforato privatamente con una data sigla o con un’altra, tenuto conto che di norma si collezionano i francobolli emessi ufficialmente in base a precisi decreti.

Vi risulta forse che i falsi, i saggi o gli scarti di stampa che escono dall’Officina Carte Valori siano messi in circolazione con regolare decreto? Eppure non c’è dubbio che siano attentamente catalogati, collezionati e che siano oggetto di studi di storia postale.

Così come hanno interesse le frodi in danno alle Poste, realizzate con francobolli manipolati, a maggior ragione ci sembra degno di studio l’uso postale dei perfin, visto che è stato consentito e disciplinato sin dal 1882.

In realtà tra il 1942 e il 1945 è stato vietato l’uso di francobolli perforati per timore che potessero essere scambiate informazioni non consentite dalla censura, utilizzando codici ricavati da sigle perforate! Tuttavia ciò non fa che avvalorare la tesi da noi sostenuta.

Pensiamo che gli studi sui perfin dovrebbero essere mirati all’approfondimento degli svariati usi postali di questi francobolli, tenendo conto della loro precipua funzione di pagamento delle tasse postali e telegrafiche, ed insieme di tutela del soggetto che li ha realizzati ed impiegati.

Si badi che la perforazione dei francobolli non era effettuata soltanto da ditte che volevano prevenire possibili furti all’interno o all’esterno dell’azienda, ma anche da soggetti che intendevano contrastare il possibile utilizzo su altre missive, di francobolli applicati su proprie buste o cartoline pubblicitarie, cedute a prezzo ridotto rispetto al facciale, come nel caso della ditta La Francalettere di Livorno o della ditta Forzano di Roma.

Le banche ed altri enti hanno anche usato largamente i perfin su buste preaffrancate e preindirizzate per il ritorno, che erano inserite in missive contenenti richieste di informazioni.

Tale accorgimento era ritenuto essenziale per assicurarsi una buona percentuale di risposte in quanto era noto che i francobolli perforati erano meno appetibili di quelli integri e di conseguenza le risposte sarebbero state più numerose.

Casi simili nell’uso dei perfin ce ne sono molti, e il campo di indagine è assai vasto, anche perché rimangono da identificare gli utilizzatori di parecchie perforazioni, ed altre sigle non ancora individuate saranno certamente scoperte in seguito.

Non vi sembra che questi siano fatti che riguardino la storia postale e che meritino studio e approfondimento? Allora sarà bene non buttare via i perfin superstiti, ma esaminarne attentamente le caratteristiche, nonché gli usi e gli abusi che sono stati anch’essi molti, in barba alla tutela che le ditte si attendevano da questo sistema di personalizzazione dei francobolli.

In uno scritto di Luciano Buzzetti inserito nella monografia allegata al n.24 di questa rivista, il noto studioso e giurato si diceva scettico sulla possibilità di giudicare una collezione di perfin con criterio storico postale.

Il dubbio mi è parso legittimo, perché i collezionisti di perfin privilegiano la ricerca delle tante perforazioni esistenti diverse tra loro. Tali perforazioni non possono essere considerate per se stesse elementi filatelici, ma piuttosto “aziendali”, come li definisce Buzzetti, perché realizzate in totale libertà dalle aziende che ne hanno fatto uso, valendosi di autorizzazioni di carattere generale, che hanno consentito a chiunque di perforare i propri francobolli come meglio credevano.

Pero, sono convinto che il fenomeno possa e debba essere inquadrato in un particolare capitolo della storia postale del periodo filatelico quando, oltre i notevoli benefici ottenuti dall’introduzione dei francobolli, sorsero per le imprese problemi di furti ed usi non autorizzati delle carte valori postali aziendali.

Sappiamo che in Inghilterra, dove i francobolli furono inventati e introdotti per la prima volta al mondo, il problema fu assai sentito nelle aziende, e furono proposti vari sistemi per marcare i francobolli a scopo cautelativo, prima di giungere alla perforazione brevettata dallo Sloper.

Lo stesso problema, sia pure in misura minore, esisteva anche da noi. Una collezione sui perfin, dovrebbe iniziare con l’esame di ciò che è stato fatto in Italia per contrastare i furti di francobolli, prima che fosse possibile perforarli, imprimendo loro una sorta di marchio aziendale indelebile.

Quindi, andrebbero esaminate le conseguenze derivanti dalle prime e sole autorizzazioni delle poste, avvenute tra il 1882 e il 1887, che consentirono di perforare in un primo tempo soltanto delle iniziali (lettere dell’alfabeto), e successivamente anche dei numeri, per arrivare al 1889, con l’approvazione del regolamento per l’attuazione del servizio postale con RD n. 6152 del 20.6.89, che sancì in via definitiva la facoltà d’utilizzo di francobolli perforati da parte di chiunque fosse interessato.

A questo punto, la collezione dovrebbe dare un’idea dell’ampiezza del fenomeno, mostrando una varietà di casi di utilizzi di perfin da parte di enti, aziende ed anche di privati, che talvolta hanno fatto uso di perforati più per seguire una moda, che per reali necessità.

Andrebbero poi esaminati gli impieghi dei perfin per il pagamento delle tasse postali delle varie categorie di corrispondenza, stampe, pacchi, e servizi aggiuntivi, come espressi, raccomandate, assicurate, posta aerea, nonché dei telegrammi e di alcuni servizi a denaro, come il servizio riscossioni e i vaglia postali, senza trascurare i servizi di recapito e dei pacchi in concessione gestiti da privati.

Anche alcune Agenzie e Recapiti si sono serviti di francobolli perforati, ed andrebbero mostrate le corrispondenze con tali perfin, recanti gli annulli postali personalizzati in uso presso i citati uffici.

Una certa attenzione andrebbe dedicata a mostrare l’impiego di particolari categorie di francobolli, come i commemorativi, i pubblicitari e persino i valori con sovrapprezzo, segno che certe aziende non erano insensibili ad iniziative benefiche, ma che dopo l’acquisto si cautelavano nei confronti di possibili sottrazioni da parte d’impiegati disonesti, in attesa dell’utilizzo delle scorte.

Andrebbero anche passate in rassega alcune tariffe particolari corrisposte con perfin, come quelle ridotte per i militari, e gli usi negli uffici postali all’estero, le occupazioni, i territori e le colonie.

Infine, andrebbero visti i rari utilizzi d’interi postali perforati, e prese in considerazione le limitazioni temporali all’uso dei perfin in tempo di guerra.

Mi pare che in oltre cento anni di usi svariati di francobolli perforati, non sia così arduo mettere insieme una collezione composta esclusivamente da documenti affrancati con perfin, che possa essere giudicata serenamente, nell’ampio ambito della storia postale.

        

          

                                                                                                                       Enrico Bertazzoli

 

N.B. La prima parte di questo scritto che si ripropone con alcune modifiche, è stata inserita nella monografia curata da Francesco Grandinetti, allegata a “La Soffitta” n. 24 del giugno 2002

 

LE IMMAGINI SONO STATE AGGIUNTE IN QUESTA PAGINA PER VIVACIZZARE LA LETTURA.

 

fig.1 sigla S.N.R. - fig.2 sigla F.W. - fig.3 sigla C.V - fig.4 sigla OE - fig.5 sigla PX